31 dicembre 2016

Un solo colore, quello del mondo

28 Dicembre 2016, ore 20 in Italia, le 21 qui in Sud Africa.
Siamo seduti fuori Gisella ed io, il fuoristrada è alle nostre spalle, si suda tanto fa caldo con i suoi 33 gradi la serata non sembra regalare il fresco necessario per ritemprarsi dopo la lunga giornata.
Abbiamo le gambe sollevate da terra così da evitare contantti indesiderati con abitanti del luogo.
Qui siamo a casa loro e dobbiamo rispettare questo concetto, ribandendolo mille volte nelle nostre menti, tante quante sono le loro zampette che muovendosi ad una velocità supersonica rendono questi enormi grissini neri veloci come saette. Si tratta dei millepiedi giganti, simili a grissini neri e lucidi, non proprio carini come un gattino, ma pur sempre creati per una ragione.
Siamo qui, noi due, seduti sotto un mare di stelle che pare volerci cadere addosso ogni volta solleviamo la testa. Siamo qui, nel buio di una notte africana, accampati nel parco di Khalagadhi, un crocevia di piste sterrate che si affaccia sulla parte ovest del sud Africa, incrociando i venti della vicina Namibia e sfiorando i cieli della notte nera del Botswana.
Non ci siamo arrivati per caso in questo luogo remoto.
Gisella ed io abbiamo volato per ventiquattro, lunghe ed interminabili ore sui cieli di mezzo mondo.
Non mi piace volare.
Non per la paura di morire, che tanto so bene essere la cosa più inutile che si possa fare.
Non mi piace sorvolare un mondo quando invece potrei viaggiarvi sopra percorrendolo.
Non mi piace lasciare che il tempo acceleri lasciando dietro,alle mie spalle solo una scia bianca in cielo.
Vorrei poterla depositare in terra e essere io l'artefice di quella scia.
Ma a volte, a causa del poco tempo a disposizione, questo mondo accelerato che ci farà morire prima di essere riusciti a vivere davvero, ci costringe a rincorrere il tempo e talvolta a superarlo.
Siamo partiti il 26 alle 4 di mattina da casa, ed ora come se fosse stato un battito di ciglia, ho il mondo alle mie spalle.
Ho lasciato il ghiaccio del mattino di Torino ancora intonso sul vetro della mia auto ed ora, come se un sogno mi avesse trasportato lontano, sono in maniche corte a scrivere il blog sotto un soffitto di stelle.
Vivo e viviamo tutto l'anno per poter sognare.
Lasciamo che la nostra vita sfugga via dalle mani, giorno dopo giorno tutto l'anno solo per poi sollevare il capo in una notte Africana e scorgere quell'universo da sogno che qualcuno ha creato e che noi non sappiamo, o forse non possiamo, neppure più osservare.
Il tempo sembra sempre mancarci, la vita di tutti i giorni ti imprigiona come una moderna e tecnologica sabbia mobile.
Ti inghiotte, tu sprofondi, sotto migliaia di mail, messaggi, telefonate.
Tutto è di colpo sempre urgente, tutto sembra presagire una imminente fine del mondo.
Poi......scorri le pagine di un atlante reale, e scopri che la vita è tutt'altra cosa.
La vita talvolta è un sorso di acqua.
La vita può essere quella pozza in mezzo al deserto che da vita a sua volta ad altri esseri, e tu da questi ultimi ricavi per te qualcosa per vedere un domani.
La vita è un sorriso di una persona mai vista prima e, con buone probabilità, ma vista neppure in futuro.
La ma vita, dalla quale non posso comunque scollegarmi ancora, è una finzione quotidiana, una incoerente scena di una fiction che va in onda tutti i giorni lavorativi dal lunedì al venerdì.
Per poi, solo allora, consentirmi di indossare quegli abiti che davvero fanno parte di me e mi fanno sentire vivo, ovvero il poco, quel nulla che in questi luoghi remoti ancora da di umanità.
Arrivare qui, confrontarsi con la povertà di un mondo che è stato in grado di vivere, sopravvivere e diventare grande nonostante non abbiano pressoché nulla, mi fa sentire piccolo, molto piccolo.
Vorrei potermi mettere in gioco come loro per comprendere se io, nato in questi luoghi anziché nel ricco e agiato mondo moderno, sarei stato in grado di superare i loro ostacoli.
La discriminazione razziale ad esempio.
Quanto orgoglio, quanta determinazione credo si debba avere per continuare a camminare a testa alta quando, tutti attorno a te, ti deridono e ti reputano inferiore.
Quanta forza di spirito, quanta forza in generale devono aver avuto queste donne e questi uomini.
È mattina, arriviamo in una cittadina sulla strada che porta al luogo dove ora ci troviamo.
Pensiamo a cosa ceneremo e Gisella scorge un negozio sulla strada.
La coda delle persone arriva sino sul mairciapiede.
Lei mi guarda e mi dice di fermare il fuoristrada.
Scende dalla nostra Jumba e con piglio sereno ma fiero si dirige verso il negozio dove non vi è l'ombra di un bianco neppure a pagarlo.
Io scendo dall'auto, il sole caldo del mattino brucia la testa.
Passo le mani nei pochi capelli rimasti ed in quel momento mi ritorna in mente che, prima di partire, ho scordato il consueto taglio del pelo che ogni due settimane eseguo autonomamente.
Sul marciapiede di fronte una serie di bancarelle luride e malconcie sembrano fare al caso mio.
Un lenzuolo dipinto come le bombolette di vernice raffigura una serie di teste di uomini con tagli di capelli differenti.
Alcuni ragazzi dentro le baracche hanno collegato dei rasoi ad alcune batterie di auto, e con essi tagliano i capelli ai locali.
Li osservo, e mi chiedo quanta forza e quanta dedizione occorra avere per spingersi sia a mettere su bottega su un marciapiede, sia a fermarsi in essa per farsi radere.
Nel nostro mondo, fatto di lustrini e di " maison " di alta moda, una cosa del genere sarebbe tabù.
Io vivo nel nostro mondo dove se non hai un nome non sei nessuno, ma ogni volta che vedo quel nessuno sento un gran desiderio di andare a chiedere il suo nome.
Trascorrono circa dieci minuti, Gisella rientra dal negozietto con due buste di nylon nelle mani. Si avvicina al fuoristrada, mi cerca con lo sguardo e non mi trova.
Poi allunga il campo visivo dall'altra parte della strada e mi scorge laggiù, seduto dentro ad una di quelle baracche, tutti neri salvo uno, io.
Attraversa la strada e mi si avvicina.
Io sono seduto con indosso uno strofinaccio stupendamente lercio come le baracche stesse.
Un uomo nero come la notte ma con un uno sguardo luminoso come il sole sta terminando di tagliarmi i capelli.
Osserva Gisella che esterrefatta si avvicina e chinando il capo entra nella baracca.
Le sorride.
Gisella lo saluta e poi, quasi a rimproverarmi della marachella mi dice: scommetto che li avevi talmente lunghi che ti cadevano negli occhi.
Io sorrido, e l'uomo solare mi chiede cosa lei abbia detto.
Io lo guardo mentre egli mi allunga un frammento di specchio rotto così che io mi possa specchiare e verificare se il lavoro sia stato fatto bene.
Mentre mi specchio, seriamente gli rispondo " mia moglie vorrebbe farsi tagliare i capelli da te"
Gisella scappa, lui ride, io lo abbraccio ricambiando il sorriso.
Non chiederci perché viaggiamo, la risposta potrebbe essere più disarmante di quanto voi vi possiate aspettare.
Viaggiamo per abbracciare un qualcuno come noi. 
Viaggiamo per aprire le nostre menti nel cancellare il concetto di diversità.
Viaggiamo perché conoscere volti nuovi rende ricchi più di quanto un ricco volto possa fare.
Viaggiamo perché è ciò che più desideriamo, pensando a quanto sarebbe ancora piu grande il mondo se tutti avessimo l'umiltà di sorridere ad un volto mai visto.
Domani viaggeremo ancora, se il destino vorra' saremo in Namibia.
E se se la tecnologia lo vorrà, pubblicheremo questo post.
Se una delle due cose dette prima non vorrà, sarà stato bello lo stesso, io il mio barbiere di fiducia l'ho trovato......ora tocca a Gisella.
Buona notte mondo, buona notte a tutti i leoni, le giraffe, le gazzelle, le antilopi ed i mille coglioni che conosco, i quali, vivendo una vita fatta di apparenze, non leggeranno mai questo post è quindi, non avrò mai la paura di aver offeso qualcuno.

Roaaaarrrrrr














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